Decennale dalla scomparsa di Antonio Negro

Decennale dalla scomparsa di Antonio Negro

Nel decennale della scomparsa di Antonio Negro: Omelia di S. E. Monsignor Vincenzo Paglia

25 marzo 2020

Care sorelle e cari fratelli,

credo che anzitutto dobbiamo ringraziare il Signore – nonostante il dolore che sentiamo anche in questo momento – per averci donato il professor Antonio Negro e per avercelo lasciato tanto a lungo. Davvero il Signore è stato buono con noi e con i tanti che lo hanno avuto come amico e medico. E il Signore è stato buono anche con voi, carissimi Paolo e Francesco, e voi nipoti, Andrea e Valentina, che egli amava in maniera tutta particolare, per avervi conservato fino alla fine un padre e un nonno esemplare.

Il professor Negro è stato uno di quegli operai del Regno di cui Gesù ha parlato nel Vangelo che abbiamo ascoltato. In genere questa pagina evangelica viene riferita alle vocazioni sacerdotali. In verità interpella tutti discepoli e li impegna alla sequela di Gesù perché collaborino con Lui ad instaurare il regno di Dio. Sì, il professore è stato uno di questi operai a cui il Signore ha affidato un’opera del tutto straordinaria. Forse il grido di tanti malati del secolo scorso è stata come quella preghiera che Gesù esortava ad elevare a Dio perché inviasse operai buoni che si prendessero cura della loro vita. E il Signore ha donato ai malati questo suo figlio perché potesse aiutare tanti a guarire dalla malattia. I tanti anni che lo hanno visto impegnato nella professione medica – più di 75 – sottolineano la sua vocazione. Sì, il Signore ce lo ha donato perché guarisse molti. Non è stato un semplice professionista. Il professore ha inteso la sua lunghissima professione come una vera e propria missione. Le parole evangeliche di Matteo gettano una luce bella sulla sua lunga vita di credente e di medico. Il Signore lo ha dotato di un particolare carisma nella professione medica. Non c’era solo la tecnica, pur essendo lui un grande clinico, endocrinologo. Il suo ricchissimo bagaglio tecnico fecondato dalla fede faceva di lui un medico particolare. C’era in lui il segno della compassione di Gesù, ossia di quell’amore senza limiti, appena comprensibile agli uomini, che porta a spendere la propria vita per gli altri. E’ un amore pieno di energia e forza che dona un reale potere, come lo stesso evangelista ricorda: Gesù ai dodici diede il “potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e infermità”. E il professore ha compreso di essere mandato nel mondo per guarire “ogni malattia e infermità”, non questa o quella, ma l’uomo nella sua interezza, nella sua dignità. Per questo possiamo riassumere la sua lunga vita nell’unico impegno che cercato sempre di perseguire: essere amico di Dio e amico degli uomini.

In questo orizzonte evangelico l’opera del professore appare dai tratti non comuni perché sgorga da quella compassione di cui abbiamo ascoltato. L’opera medica del professore era strettamente legata alla sua fede. E lo teorizzava. Per questo una delle costanti della sua vita e delle sue giornate è stata la preghiera. Più volte ne sono stato testimone diretto. E’ partendo da Dio, dal rapporto che aveva con Lui, che si può comprendere Antonio Negro e la stessa sua azione. Aveva ricevuto da Dio un particolare carisma che ha coltivato con cura. Lo nutriva con letture religiose e con approfondimenti teologici. Era consapevole che i doni ricevuti andavano spesi non per la sua gloria ma per il bene degli altri, specialmente dei poveri e dei deboli. Il filo rosso della compassione per i deboli e i malati traversa tuta la sua lunga vita. E’ stato amico di Dio e per questo medico degli uomini.

Ricordo la vivacità con cui mi raccontava gli entusiasmi di giovane dell’Azione Cattolica. Mi ripeteva la disavventura accorsagli quando, chiamato a parlare ad un gruppo di signore “impellicciate” – così mi diceva con un sorriso ironico -, le apostrofò perché fossero più generose con i poveri. Fu un discorso che gli costò un rimprovero del vescovo, ma lui rimase fermo. E durante gli anni dell’occupazione tedesca a Roma escogitò, assieme ad un tedesco compiacente, lo stratagemma di fasciare con il gesso le braccia di molti ebrei, portandoli in cura dalle suore salesiane di Via Dalmazia salvandoli così dalla morte. Sono due piccoli esempi che mostrano quanto il Vangelo ispirasse le sue parole e i suoi comportamenti. Tutto ciò trovò come una esaltazione nella sua missione medica. In maniera del tutto straordinaria il suo carisma si sviluppò nel campo della medicina. Quante riflessioni sarebbero necessario non tanto per descrivere le cose da lui realizzate (che peraltro andrà fatto), quanto per trarne un insegnamento per noi e per la stessa azione medica.

Il segreto della medicina del professor Negro, se così posso dire, si riassume nella capacità che ha avuto di trasformare la compassione evangelica, ossia l’amore di Dio, in forza di guarigione, in capacità clinica di cura. Il suo modo di essere medico era appunto quello di entrare dentro il raccordo che c’è tra Dio e il malato. Negro conosceva per la sua fede che in ogni uomo c’è il sigillo di Dio, senza per questo cadere in una sorta di sofisticata new age. A chi gli domandò: “noi quindi abbiamo Dio dentro?”. La sua risposta fu immediata e secca: “si”. E derivava questa sua convinzione dalla narrazione della creazione dell’uomo come raccontata all’inizio del libro della Genesi, ossia l’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Per questo sentiva parte integrante della sua medicina cogliere la scintilla di Dio deposta nel profondo di ogni uomo, scoprirla e, se ferita, raccordarla di nuovo a Dio.

Concepiva come “sacro” il colloquio con il paziente perché doveva coglierne il cuore profondo. Direi che, come il prete sull’altare tratta con attenzione l’ostia che deve diventare il corpo di Cristo, così egli trattava il corpo del paziente. Sapeva che aveva a che fare con una creatura segnata da Dio. E suo compito era intuire la scintilla di Dio. E la guarigione voleva dire ridarle vigore, ristabilire l’armonia che era stata violata. Per questo ai suoi malati chiedeva l’osservanza della legge di Dio, l’allontanamento del male, il rifiuto della corruzione, la riscoperta della grandezza dell’uomo, il rispetto del creato. Quale distanza da tante irresponsabili concezioni che hanno certe mode contemporanee! Per il professor Negro la fede in Dio e il rispetto per il malato, divenivano una dimensione inscindibile, erano i cardini della sua azione medica. Per i malati era certo un medico ma soprattutto un “padre”. Questa paternità, così rara oggi nel mondo,  era la vera medicina che Negro donava.

Si sentiva sacerdote nell’esercitare la sua missione medica. Quante volte ne abbiamo parlato! E per questo era esigente con se stesso, con una condotta severa, ascetica, rigorosa in ogni caso. E lo era anche con gli altri. Si opponeva con energia a tutto ciò che feriva l’uomo e la natura. E diveniva un accusatore inflessibile quando anche la omeopatia veniva piegata e tradita dalla mercificazione. Era orgoglioso del centro di omeopatia che aveva fondato nel lontano 1949. Era il primo in Italia. E si impegnò senza risparmio a formare una scuola di medici che fono alla fine ha voluto servire trasfondendo nei più giovani una scienza medica piena però di fede e di sapienza umana e scientifica.

Amava tuttavia la vita e le cose belle. Era nota la sua abilità nel fare il “pesto”, alla genovese ovviamente. Desiderava comunque “restare nascosto” ed era lontano dal clamore. Cercava sempre l’essenziale sia nella professione che nella vita. E l’essenziale per lui era Dio. Essenziale per la sua fede e per la sua azione di medico. Giunto al termine della sua corsa sta per entrare nella Gerusalemme del cielo ove non c’è più notte perché il volto di Dio ne è la luce. Care sorelle e fratelli, oggi consegniamo nelle di Dio questo nostro fratello. Il Signore gli ha concesso una vita lunga e piena, potremmo dire che è morto “sazio di giorni”. E’ stato benedetto da Dio e lui, da parte sua, è stato una benedizione per tanti. Consegniamo nelle mani di Dio un figlio che ha saputo far fruttare in maniera straordinaria il carisma che aveva ricevuto in dono. Non lo ha trattenuto per sé. E non dimentichiamo quanto Gesù disse ai suoi discepoli: “Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste”(Gv 14, 12). Non che questo significhi l’abolizione dei limiti, della pochezza, del peccato. La grazia di Dio però è ancor più grande. Il problema è lasciarla operare senza frapporvi ostacoli. Il professor Negro ha speso i suoi talenti impegnandosi sino alla fine dei giorni. Carissimi allievi del professor Negro ricevete ora nelle vostre mani una eredità straordinaria. E’ indispensabile continuarla a custodire nella sua integrità e spenderla per il bene dei malati.

Caro professore, ci mancherai e tanto. Ti affidiamo nelle mani di quel Signore che hai sempre cercato anche nel volto dei tuoi pazienti. Preghiamo perché oggi stesso tu possa vedere “faccia a faccia” il volto santo di Dio. Noi da parte nostra vorremmo portarti in alto, scoperchiare il tetto del cielo, come fecero quegli amici di cui parla il Vangelo, e calarti davanti a Gesù perché ti faccia risorgere con Lui. E, mentre nella gioia contempli il volto di Dio, scorgi anche i tratti del volto di ciascuno di noi e prega perché possiamo somigliare al suo cuore ed essere capaci di offrire a tutti la medicina dell’amore.